Ma chi lo ha detto che gli adulti non possono sognare ad occhi aperti? Certo, dipende dall'oggetto del sogno e dalle reali possibilità che esso si materializzi. Escludendo per decenza quelli "da censura", rimangono i classici. L'auto di lusso, svernare alle Maldive, un lavoro comodo e strapagato e via così, ognuno ha il suo bel cassetto ricolmo di desideri forse inappagabili. Con pudore io ammetto di avere ancora "qualche" sogno irrealizzato, soprattutto di tipo calcistico. Banale? Si, certo, ma meglio che fantasticare su un conto corrente che non sia color porpora...
C'è un luogo in particolare, dove convergono i sogni, certamente simili, e le aspirazioni di tantissimi bambini ed anche ragazzini più o meno imberbi. Ci arrivo un pomeriggio freddissimo, è luogo ai più molto familiare: l'antistadio "Carmelo Imbriani". Da fuori sembra un fortino a stento illuminato dalle fredde luci giallognole dai lampioni stradali. Intorno l'asfalto del parcheggio e la sagoma scheletrica di quel manufatto in acciaio che, nelle intenzioni, doveva essere una biglietteria... Molte auto parcheggiate, il traffico scivola costante intorno a quel muro di cinta ed alle alte reti di protezione che lo circondano.
La stretta porta d'accesso alla gradinata immette in "ambiente" che davvero non immagini poter essere racchiuso lì. La luce delle sottili torri faro lascia risaltare il verde intenso del green sintetico. Il freddo è amplificato dal vento che soffia costante e che in quel luogo sembra non diminuire mai d'intensità. Poche persone in piedi, aggrappate alla recinzione in acciao zincato, quasi ad assicurarsi che il vento non le porti via... Guardo bene, sono quasi tutte donne, mamme presumo. Poi ci sono anche alcuni papà, presumo ancora, ma potrebbero essere nonni, o zii, chissà. Sono lì e non a caso però.
Salgo sul gradone più in alto ed ho una visione "panoramica" molto bella, suggestiva, direi emozionante. Il campo suddiviso in settori, ognuno perfettamente organizzato con conetti, porte, birilli, palloni e quant'altro. Un agguerrito battaglione di ragazzini, sono visibilmente suddivisi per età. Ogni gruppo è al lavoro e svolge esercizi specifici o la classica partitella. La voce degli istruttori "vince" sul naturale trambusto che tanti monelli insieme provocano. Ma tutto assolutamente pacato, se non fosse in antitesi potrei definirlo un "ordinato trambusto". Ed è una magia! Di sicuro gli istruttori, che spiccano in mezzo a nugoli di giallorossini alti per lo più un soldo di cacio, hanno un segreto per riuscire a catalizzarne l'attenzione e a tenerli buoni, disciplinatamente. Quale sarà mai? Io credo che sia semplicemente quel pallone e lo stemma con "la strega" che hanno cucito sulla casacca d'allenamento.
Li guardo e provo quasi invidia, ma senza alcuna cattiveria. Ammiro i loro completini "tecnici" e moderni, con quei colori sfavillanti. Giallo e rosso, un duo cromatico che più bello non c'è, quello che ci ha fatto innamorare e perdere la testa per un pallone... Mi guardo intorno e penso a cos'era l'antistadio fino a pochi anni fa. A pensarci bene, è un sogno realizzato. La prova è ciò che vedo, e quei bambini forse neppure immaginano quante volte io ho sognato, a suo tempo, di poter fare ciò che loro adesso stanno facendo. Un sogno realizzato, comune a molti della mia generazione, ma anche il sogno realizzato di un uomo in particolare.
La strega cucita sul cuore e non sulla maglia. La differenza tra me, adulto, e quei bambini per adesso è questa. Per adesso si allenano divertendosi, imparano i fondamenti, qualche movimento, ma soprattutto ad essere corretti, leali. Il freddo punge, loro corrono e sono caldi, io intirizzisco ma non fa nulla. E' bello osservarli, chissà che non riesca ad imparare qualcosa anche io, non è mai troppo tardi. Li vedo ridere, si punzecchiano con immaginabili scherzetti quando "il mister" non li guarda, che lazzaroni!
Alzo lo sguardo, sulla mia sinistra si staglia imponente la mole dello stadio. Nel buio della serata invernale spicca l'insegna Ciro Vigorito. Sembra quasi dare l'idea di un qualcosa in stand-by, di mai spento... Ciro Vigorito, l'uomo, la sua lungimiranza e l'amore per il calcio, soprattutto per i giovani. In qualche modo il suo sogno si è realizzato, è qui, davanti a me. Lui non ha potuto godersi al meglio quanto aveva pensato di realizzare. La cantera, un vivaio che fosse tutto giallorosso, in cui far crescere i ragazzi con i principi sani dello sport, del rispetto delle regole e del prossimo. Allevare futuri uomini prima ancora che calciatori. Fatto!
Ogni tanto il vociare intenso dei ragazzini mi fa trasalire, o il freddo, o tutti e due. Il sogno di Ciro è realizzato, la cantera è florida, viva, pulsante. A loro volta anche questi ragazzini sognano, tra un dribbling e un tiro sbilenco. La strega cucita sulla maglietta e poi, un giorno, anche a loro sul cuore. Chissà qual'è il sogno (calcistico) di ognuno! Giocare e segnare nel Benevento? La Juve? O l'Inter? Accidenti che bello! Provo ad immaginare cosa "vedono" i loro occhi, cosa pensano quando arrivano al campo e infilano gli scarpini all'ultima moda -Cristiano Ronaldo docet!- sul prato sintetico. Ecco, la sensazione del "sogno che si materializza" potrebbe essere anche quel gesto. Per molti lo è.
Che freddo, non ho più l'età per stare impalato a guardare. Da "fuori" ho visto quanto basta. C'è un entusiasmo che trabocca, è tangibile il lavoro che c'è dietro a tanta organizzazione, non è affatto facile gestire tante teste acerbe e scalpitanti. Un motivo in più per essere orgogliosi della società. Due, tre volte il "triplce fischio" dal campo. I niños tornano negli spogliatoi per la doccia calda meritata e necessaria, considerato il clima.
M'incammino verso il buio, il parcheggio oramai è quasi vuoto. In fondo al piazzale alcune auto con i fari accesi, e presumo il riscaldamento a manetta. Tra pochi minuti bisognerà accogliere e portare a casa i ragazzini e con loro i sogni. I sogni, ci penso, non conta la differenza di generazione. I miei sogni erano identici ai loro, anzi, lo sono ancora. Un pallone, il campo, la maglia del cuore. Davanti al cancello mamme, papà, nonni in attesa. Sull'uscio continuamente varcato in un divertente andirivieni c'è Giampiero Clemente, un mito calcistico in questa città. Saluta uno ad uno i ragazzi che escono. Li richiama severamente se hanno i capelli ancora bagnati, il giaccone non abbottonato. Ma il rimprovero immediatamente si trasforma in un sonoro cinque alto: "ci vediamo dopodomani".
Mi basta quanto ho visto. Non farò nessun reportage, chi ha voglia di vedere, capire, venga qui. I sogni più belli, è il mio pensiero, sono quelli che si fanno da bambini e poi si realizzano. A me, cinquantenne, basta sapere che c'è qualcuno o qualcosa che quei sogni può farli ancora cullare. E "all'Imbriani" tutto ciò è possibile.
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