Il calcio è uno di quegli sport che la gente considera da “duri”. Ma è anche uno degli sport rimasti più legati a una sensibilità antica, quasi primitiva, dove si perpetuano riti che hanno viaggiato nel tempo conservando intatto il loro valore “tribale”. Riti che mirano ad imprimere e fortificare il senso di appartenenza alla squadra, che esaltano il legame di sangue tra i giocatori.
Un rito, perché possa essere officiato, ha bisogno di un “tempio”. In tutti gli sport di squadra ce n’è uno che è ancora più importante di quello rappresentato dal terreno di gioco: lo spogliatoio. Tanto più il gioco è rude, tanto più quel luogo è sacro ed inaccessibile. Perché è lì, nello spogliatoio, che nasce lo spirito di squadra, è lì che esso vive veramente e che arde come un fuoco votivo; è in quel luogo appartato, spesso sotterraneo (e non a caso) dove si trascorrono gli istanti sospesi prima della battaglia, dove si compie la muta segreta che trasforma i comuni mortali in atleti, dove si urla, si piange, si soffre, si litiga, ci si addossa reciproche colpe per una battaglia persa, o semplicemente non vinta.
Possibile mai che due calciatori non litighino tra loro? Possibile mai che un allenatore non si arrabbi con un suo ragazzo? Impossibile.
Ma nulla deve mai uscire da lì. Nessuno degli “esterni” ha il diritto di sapere. Nessuno degli “interni” ha il “dovere” di informare. Lo spogliatoio è il cuore e l’anima di una squadra. Se qualcosa trapela all’esterno, si vanificano mesi e mesi di lavoro nonché il senso di fiducia reciproca.
Lo spogliatoio è una sorta di Conclave .
Sarò all'antica, ma credo molto nella "sacralità" dello spogliatoio, e penso ancora che questo sia uno degli elementi fondamentali per una stagione di successo.
Una volta si diceva che quello che succedeva nello spogliatoio doveva rimanere nel suo ambito, e chi ne raccontava all'esterno i malumori non era meno colpevole di chi quei malumori aveva creato.
Da un paio d’anni a questa parte le telecamere dei network stanno entrando, insolenti, nella sacralità dello spogliatoio. Senza se e senza ma. E pazienza se le società ci fanno vedere quel che vogliono: uno spettacolino costruito ad arte come quelle ricostruzioni per turisti organizzate nel deserto, o in un vecchio castello medievale. Sarebbe ingenuo aspettarsi di carpire i segreti di un allenatore da questa perfetta operazione commerciale. Del resto questa pratica voyeuristica mutuata dall' Nba, ha le sue regole ferree anche in America, con tempi scanditi per consentire spazi di privacy per i faccia a faccia tra allenatore e giocatori.
Aldilà delle varie categorie o dei differenti sport, le dinamiche e gli equilibri rimangono sempre gli stessi. Lo spogliatoio è il luogo più importante per una squadra di calcio, in cui stare insieme e condividere gioie e delusioni, dove affrontare discussioni animate e, spesso, anche “fuori dalla righe”. Lo spogliatoio rappresenta l’unico momento in cui ci si trova veramente tutti faccia a faccia. E’ il luogo sacro dove si convive con persone di caratteri e culture diverse, dove i giocatori di una stessa squadra, i tecnici, i magazzinieri, i preparatori atletici, i dirigenti condividono valori comuni; è il collante essenziale per la creazione di un gruppo unito. Fondamentale è anche la sincerità: non bisogna avere paura di dirsi le cose in faccia e di esternarsi eventuali malumori e risentimenti. Qualsiasi intromissione dall’esterno, così come qualsiasi estromissione dall’interno, sono da considerarsi una sorta di peccato mortale.
Per questo, e soltanto per questo, ho ritenuto e continuo a ritenere quantomeno inopportune le dichiarazioni dell’allenatore (se mi riconosco un “difetto” è, purtroppo, quello di essere coerente, in primo luogo con me stesso). Poi, per carità, potrei sempre cambiare opinione, in qualsiasi momento, se qualcuno riuscisse a convincermi del contrario. Arroccarsi ostinatamente a difesa delle proprie idee, specie se infondate, può sfociare nell’ottusità.
Detto questo, tengo a precisare che personalmente ritengo il signor Brini uno dei migliori tecnici attualmente in circolazione per la categoria; al momento, forse, addirittura il meglio che la “piazza” possa offrire. Magari avrà anche detto una cosa che “sentiva” dentro e, così facendo, ha inteso manifestare una sua insofferenza: l’errore, a mio avviso, è stato semplicemente quello di sdoganarla dall’ambito dello spogliatoio. Tutto qui.
Ma, ragionando a freddo, emerge ancora una volta il “buonista”, che è in me, e che mi porta a pensare in positivo (del resto è il mio carattere, non posso farci nulla). Voglio credere, cioè, che con quelle parole, seppur dure e pesanti, Brini abbia inteso soprattutto responsabilizzare qualche elemento della squadra e, così facendo, richiamarlo ad un maggior impegno, ad un ulteriore “sforzo” in un periodo difficile come l’attuale, per fronteggiare l’emergenza e “resistere” almeno fino alla pausa natalizia. Egli ha, senz’altro, scelto il “mezzo” e la circostanza meno indicati ed opportuni, ma se quello era il fine, gli va riconosciuta senz’altro la buona fede. Così come credo, e sono sicuro, che egli abbia avuto, poi, l’opportuno chiarimento con i diretti interessati all’interno dello spogliatoio. Com’è giusto che sia.
Che dire, alfine?
Non ci resta che avere fiducia in questa squadra. Fiducia negli uomini che ne fanno parte. Fiducia nel gruppo, perché composto davvero da “bravi ragazzi”, nell’accezione più semplice del termine. Ho avuto modo di conoscere personalmente, in qualche occasione, gran parte di essi e scambiarvi qualche parola, e non soltanto inerente a questioni meramente calcistiche. Ebbene, l’impressione che ne ho avuto è che si tratti veramente di ragazzi semplici, sinceri, disponibili, di buoni principi morali, legati alla famiglia e, credo di non sbagliarmi, anche da un sincero affetto nei confronti del Presidente della società Benevento Calcio. Delle persone serie, dei veri professionisti, insomma, concretamente, seriamente e congiuntamente impegnati per il raggiungimento dell’obiettivo storico.
E adesso, tutti sotto con il Cosenza poi, il meritato riposo. Ne abbiamo tutti, davvero, un grande bisogno.
Stringiamo i denti e lottiamo, uniti, ora più che mai.
“Adda passa’ a nuttata! ”, diceva il grande Eduardo .
E l’alba, ormai, sembra essere vicina.
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