Era inevitabile, è successo. Alle 5 del mattino di venerdì 9 giugno 2017 le mie cellule cerebrali, fiaccate da un mese che è stata una centrifuga di emozioni, hanno definitivamente alzato bandiera bianca. I gomiti appoggiati sul bancone di un bar del viale della stazione, davanti agli occhi un cornetto alla crema e un cappuccino, nella testa una macedonia di pensieri da far uscire il fumo dalle orecchie. Cosimo, uno dei miei compagni di sventura, che io penso sempre quando parte il coro “Totalmente dipendente” (chissà perchè poi...) mi fà : “Oh ma siamo sicuri che è finita qua, non è che domenica c'è uno spareggio col Frosinone?”...il cornetto mi sta per andare di traverso, sarà che solo se lo sento nominare il Frosinone...Claudio, altro vagabondo giallorosso che dopo 47 partite stagionali ormai rischia lo sfratto dalla moglie e di finire sotto un ponte insieme alla sua tessera del tifoso e nulla più, col suo consueto pragmatismo glaciale ordina: “Allora muoviamoci, e poi in fila da Collarile, tanto facciamo presto, massimo 6/7 ore e abbiamo i biglietti...”. Poi arriva il messaggio di Dino, da Pontelandolfo con amore: “Ragazzi, non vi preoccupate, sto già a San Modesto, ci penso io, come sempre...”. E' a quel punto che succede l'incredibile...tempo di mettere il naso fuori dal bar e all'improvviso strane, enormi figure mi si avvicinano...li riconosco, c'è la Dormiente, c'è il campanile di Santa Sofia, c'è l'Arco di Traiano, il Bue Apis, il cavallo dell' Hortus Conclusus, l'Imperatore Traiano e la Vittoria Alata di Piazza Castello. Si avvicinano minacciosi, con sguardo torvo...mammà si è nu suonn mo me scetà...poi la Dormiente si prende la scena: “Uagliù vedete come ve lo dico bello...stanotte non ci avete fatto dormire...un anno fa la stessa cosa e abbiamo lasciato stare...mo però ci avete scocciato...stavolta non finisce qua...dopo tutto quello che abbiamo sopportato a San Siro ci vogliamo venire pure noi, vedete quello che dovete fare!!!”. Mi giro e mentre vedo Claudio che si fa dare la carta di identità dal Bue Apis per l'indispensabile tessera del tifoso...puff...apro gli occhi e mi ritrovo sudato, stralunato nel letto di casa. Fuori il sole della Pacevecchia è già alto, mia suocera Amelia, neo pensionata, mi annuncia che è pronto un caffè da serie A, la Dormiente è lì al suo posto, il Bue Apis pure (o almeno spero....). In un attimo riavvolgo il nastro delle 12 ore più assurde da quando quei colori sono entrati nella mia vita, cambiandola per sempre.
La fila per entrare nel settore Distinti sembra il mitico ingorgo a croce uncinata dei film di Bellavista. Fa caldo, ma l'afa insopportabile di Carpi non c'è. Non sono un appassionato della storica diatriba con gli occasionali, ma ho bisogno delle mie certezze, il traguardo toglie il fiato, ho bisogno di ritrovare i soliti volti nei soliti posti, gli sguardi e gli ammiccamenti di sempre. Ed in effetti per me i volti già ingenuamente festanti e spaesati di chi forse per la seconda o terza volta nella vita (ad andar bene...) varca quei cancelli francamente manco esistono, detto senza rancore. Portavamo i capelli a spazzola, avevamo i fisici asciutti, ascoltavamo i Pink Floyd e gli U2, Pino Daniele e De Andrè, sognavamo ad occhi aperti il nostro futuro, stavamo sulla nuvoletta dell'amore giovanile...dalla quale si scendeva una volta a settimana, per la partita du Bnvient', ovviamente in categorie che col calcio probabilmente avevano poco a che fare. Ora i capelli bianchi hanno preso o stanno prendendo il sopravvento, i girovita sono più generosi, il futuro che sogniamo è quello dei nostri figli, gli U2 non sono più quelli di una volta e il ricordo di Pino Daniele è ogni giorno più struggente. Non scendiamo più dalla nuvoletta dell'idillio dell'età dei fiori, ma prima della partita un bacio alle nostre mogli e madri dei nostri figli ci piace darlo...quasi a volerci far perdonare. E stasera non siamo qui per una partita ai confini del calcio, ma per salire sul tetto del calcio. Il braciere sudamericano arde che è una bellezza, l'orchestra, l'inno, il protocollo sono solo il contorno, il fischio d'inizio è il gong che fa partire una apnea di due ore in cui si immerge il Sannio intero, in cui in ogni parte del pianeta Terra in cui circoli sangue beneventano la vita sospende il suo fluire. Il trucco per sfuggire alla paralisi è uno solo: cantare, gridare, saltare, battere le mani, tifare, forte, anzi fortissimo, “fin quando fa male, fin quando ce n'è", canterebbe Ligabue...ma lui è emiliano, come il Carpi, allora no, al diavolo pure il Liga...
Lo Stregone prova a farlo Castori, ma le sue pozioni magiche sono poca roba, antiquariato puro, hanno lo stesso effetto della schiuma di Carnevale, qualche minuto e si scioglie tutto senza lasciare traccia. Il ragazzo di Calabria, Nik Viola per gli amici, si riprende lo scettro, è lui il Re Sole della serata e di questi playoff, una monarchia assoluta, senza scampo. Lo Zio e il suo socio Camporese scavano un solco nel terreno, dentro ci fanno scorrere l'acqua e lo chiamano Rubicone in onore degli ospiti emiliani. Solo che il dado stasera non è tratto, semplicemente perchè Lucioni, affamato come non mai se lo è divorato in un sol boccone nel prepartita...conclusione: il Rubicone cari ragazzi non si passa. Mezzora o poco più e la polveriera espolde il colpo del k.o. Nel 1982 Lorenzo Venuti e Gheorghe Puscas probabilmente non erano nemmeno nei pensieri dei loro genitori, eppure uno sembra Bruno Conti, l'altro Paolo Rossi, “un ragazzo come noi”, come cantava Venditti. Quei due presero un Mondiale e lo ribaltarono, i nostri due prendono la storia e la fanno a brandelli. Il resto è battaglia vera, ma la Strega non trema, il faro è la camicia bianca di Baroni, un totem da conservare nel Museo del Sannio...il Gladiatore c'è, l'elmo risplende e poi....poi si arriva a 5 minuti dalla fine e a quel punto si sconfina nell'ignoto delle emozioni...
Argemino (giuro, si chiama proprio così) che da un mese ha buttato via la sua giacca da direttore di banca per girare il mondo con la maglia dell'idolo Padella, tiene tra le mani il fez giallorosso ricordo di una vacanza in Grecia troncata di netto per essere qui e fissa il campo in silenzio. Antonio abbraccia il figlio Rocco e ripensa al padre che non c'è più e che sedeva proprio al posto dove ora c'è lui...e lì tocchi con mano come l'amore per questi colori sia un dono dei padri ai figli...Caterina si è seduta, si appoggia al marito Fulvio e ha gli occhi lucidi...ma sì piangi Caterina, piangi tutte le lacrime che hai...Chicca abbraccia l'anziano papà, che la sua impresa la fà per raggiungere il suo posto su questi gradoni...e io sono qui, penso a mio figlio nato pochi mesi prima dell'atroce beffa col Crotone, che ora ha otto anni, otto anni in cui gli dei del pallone hanno deciso che basta, infierire su questo popolo di tifosi era davvero diventato troppo.... “Serie A, serie A, serie A!!!!”....gridiamolo senza vergogna, abbracciamoci, saltiamo, godiamo di questa gioia così spropositata che ci sembra quasi non ne avessimo diritto. E invece no, ne abbiamo diritto eccome.
Applaudiamoli...applaudiamoli più che possiamo. Applaudiamo un presidente che in certi momenti si è sentito solo, troppo solo, che ha scommesso di portare il calcio in una provincia piccola e lontana dai grandi circuiti e che ci è riuscito a costo di beffe atroci pur di farlo nel solco tracciato dal fratello Ciro. Quel fratello che tutti abbiamo visto correre accanto a lui in quel volo sul prato a fine partita. Applaudiamo un signore vero, un allenatore di spessore che ci ha insegnato cosa vuol dire la sana ambizione, quella che non ti fa perdere il contatto con la realtà, ma che ti fa lavorare il doppio e credere in quello che fai, un professionista che in conferenza stampa parla del gladiatore sannita, che si è legato a questa terra carpendone le radici, con la voglia di sentirsene parte. Applaudiamo un gruppo di uomini e calciatori veri, che hanno formato una squadra d'acciaio, che ha giocato a calcio e ci ha sempre provato, che ha fatto vedere, agli occhi di chi ha voluto vedere e non di chi gli occhi se li è voluti tappare, la vera essenza del calcio. E poi applaudiamoci, noi che mentre eravamo ad accendere di giallorosso la notte beneventana i siti di tutto il mondo scoprivano che in Italia Cenerentola esiste, ma che stavolta non deve scappare a mezzanotte in punto dal castello del re, il ballo se lo può godere tutto...
Cos'è questa serie A per Benevento e i beneventani? E' una perla preziosa, un diamante raro che Oreste Vigorito ora mette nelle mani di ogni sannita, a quelli delle istituzioni e dell'imprenditoria, ma anche di ogni singolo cittadino. Se il Benevento è in serie A vuol dire che l'ammalato che in una corsia d'ospedale lotta contro il destino avverso deve sempre sperare di farcela, che il disoccupato non deve cedere allo sconforto, che l'imprenditore in crisi può capovolgere il suo futuro, che la favola di Benevento non rimanga solo chiusa nel Vigorito, ma continui in ogni strada di questa provincia.
Lo confesso, l'anno scorso ho pianto, quest'anno mi ero imposto di non farlo e ci sono riuscito. Poi sabato mattina mi sono presentato al solito bar sotto casa, qui a Bari, ovviamente “armato” dell'immancabile bottiglia di Strega, inevitabile pegno da pagare. Sospinti dall'entusiasmo sincero di Angelo, il titolare, ho cominciato a ricevere complimenti di ogni tipo. Poi mi si è avvicinato un volto conosciuto, ma solo di sfuggita: “Ti dico la verità, il calcio lo seguivo, poi mi ha stufato...questo calcio moderno non mi piace...ma con voi non ho resistito, vi ho seguito, complimenti, mi avete fatto emozionare, davvero...”. Mi ha stretto la mano ed io ho fatto appena in tempo a calare gli occhiali da sole sui miei occhi ormai inevitabilmente lucidi...no, non ce l'ho fatta neanche stavolta...ma come si fa....uagliù stamm in serie AAAAAAAAAAA!!!!
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