Ieri, ospite della trasmissione Ottogol, l’avvocato Oreste Vigorito ha discusso di svariati temi. Vi proponiamo, in sintesi, quanto dichiarato:

“Il novantesimo minuto di Benevento-Lecce è per me una coreografia indelebile che resterà sempre nella mia mente. Ringrazio tutti per l’affetto dato alla famiglia Vigorito. Mi ha commosso il ricordo verso mio fratello che il giorno dopo avrebbe compiuto gli anni. Noi abbiamo vinto ma in maniera netta e pulita. In un campionato regolare, quando i giochi sono puliti, la società del Benevento viene fuori con i calciatori e i tifosi. In serie B ci siamo arrivati in maniera pulita come voleva Ciro, Carmelo.

 Il calcio è una miscela di emozioni fatto col contributo di tutti. Quest'anno ci ha insegnato che le cose nel calcio si fanno insieme.

Io mi sento parte di una famiglia anche fuori dal campo. Ho un altro anno di contratto da sponsor del Benevento, ma ribadisco che non sono io il presidente. Io non avevo una pletora di aspiranti investitori del Benevento, ma chiedevamo che avessero delle credenziali: non l'avrei dato al primo venuto. La mia società al 30 giugno non aveva un euro di debito".

Un mio ritorno?

"Perché questo accada i punti di vista che devono coincidere sono tanti, anche se il puzzle da sbrogliare è uno solo. Un pezzo alla volta si mette insieme, ma non farò mai più il presidente come prima. Il presidente che fa da parafulmine a tutti non c'è più. Mi auguro che si facciano dieci anni come abbiamo fatto questi. Li devono fare loro e io li guarderò. I Vigorito saranno attenti, più siamo attenti e meglio è. Bisogna avere la grande intelligenza di esserci quando sei utile: chi ha pensato che non fossi presente perchè era finita la mia passione si sbaglia di grosso.

Il Benevento non diventerà mai schiavo nessuno, né del Napoli, né della Juventus. E’ e sarà sempre una società che vive di luce propria. Magari saranno luci di Benevento, ma è luce propria.

Mio fratello è stata l'anima di questa squadra. Questo è un gioco che si fa in maniera collegiale, i primi anni, diciamo fino al 2011 è stato così, poi sono rimasto solo e l’anno scorso ho consegnato, nelle mie dichiarazioni, la squadra alla città. Oggi questa solitudine è stata vinta grazie alla vittoria. Ma tutta quella gente deve esserci quando il Benevento perde, e non far sì che la squadra torni ad essere sola con i suoi dirigenti. Quando si spengono le luci dopo una festa rimangono solo i rifiuti. Noi abbiamo la stanza pulita, ora mettiamoci i mobili adatti.

Carpi e Frosinone sono frutto di un progetto, bisogna vedere che cosa vuole fare la società. Se ha un progetto da proporre, dico che i sogni sono alla base della vita. Il Benevento di Vigorito ha segnato la storia di questa società, vincendo più di un campionato concreto e virtuale. La B potrebbe anche non essere un punto di arrivo. Credo che chi rappresenta oggi il Benevento e lo rappresenterà domani voglia dare solidità e continuità al programma che si è raggiunto. Oggi il Benevento sta aspettando di firmare una convenzione, anche per l'Antistadio dove si svolgerà il campionato Primavera: la vittoria nel campionato servirà anche per esportare il nome di Benevento nelle altre città di Italia.

Ringrazio il dottore Pallotta che ha condotto questa società in un viaggio difficile e chi più di me lo può sapere. La città ha idolatrato mister Auteri, io l'ho apprezzato come uomo. In un momento in cui c'era anche una stanchezza verso il calcio, lui ha riportato la gente allo stadio. Io non conoscevo Auteri uomo, lo ringrazio per le parole che ha speso sempre nei miei confronti.

Mi sento di dire che con Auteri non abbiamo iniziato un nuovo ciclo, ma abbiamo continuato un progetto. Ai calciatori ha dato un modulo che i calciatori interpretavano al meglio. C'era uno zoccolo duro e io rimanevo per dare non solo il mio conforto economico.

Abbiamo avuto ragione, visto che si è capito che Lucioni e Campagnacci non erano bidoni rifilati dalla Reggina, che De Falco guarito era il metronomo migliore della C.

Auteri quando è venuto a sottoscrivere il contratto è stato mio ospite a Napoli. Sapeva che io ero vicino al Benevento Calcio e non lo avrei lasciato.

Ecco i motivi: il primo è che sapevo che la città e i beneventani fossero con me, così come io stavo bene tra loro.

Il secondo era quella che la città di Benevento aveva dato in tempi così rapidi il nome dello stadio a mio fratello.

Il terzo è che Ciro e Oreste avevano detto che avrebbero portato questa squadra in serie B e c'era un dovere morale verso quella gente che ti sorride e ti mette un bambino in braccio, come se ti desse una responsabilità.

Dopo la terribile delusione della sconfitta nel 2009 col Crotone davanti a tanta gente dissi di non ammainare le proprie bandiere, ma di tenerle sempre pronte e dissi che la mia sarebbe rimasta sempre sul mio balcone a Posillipo. Io non mi tolgo le emozioni da dentro, la passione non finirà mai. La bandiera è dentro di noi. Quando si seppe che avevo ceduto la società, tanti sono venuti a chiedermi di prendere un altro club. Ma io non mi sento di amare un altro colore.

Sabato contro il Lecce ero allo stadio e mi sono ritrovato insieme alle mie figlie senza che glielo avessi chiesto. Le ho trovate lì come ho trovato la gente. Persino mio padre, che ha 96 anni, mi ha rimproverato di non averlo portato allo stadio. Non sono venuto per raccogliere applausi, ma per ringraziare tutti.

Credo ci saranno degli inserimenti, ma ci vuole uno zoccolo duro. Oggi questa è una squadra matura. Con il diesse Di Somma e Auteri abbiamo già avuto un confronto".

La Supercoppa?

"Io le partite vorrei vincerle tutte, anche quelle in cui non c’è niente in palio”.

 

Sezione: In primo piano / Data: Mar 10 maggio 2016 alle 13:18
Autore: Claudio Donato
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