L’Ippocampo è, oltre che il simbolo della Salernitana, anche quella parte del cervello che svolge un ruolo decisivo nella trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine. È proprio grazie a questo organo cerebrale, denominato così dall’anatomista Giulio Cesare Aranzi (nel 1564 circa) per via della somiglianza con il cavalluccio marino, che conserveremo a lungo, per anni, l’immagine del Presidente Vigorito applaudito dall’intero Stadio, sia dai tifosi sanniti che da quelli granata, durante il giro di campo pre-derby. Quella sarà per sempre l’istantanea della festa dello spot andata in scena domenica sera al C. Vigorito.

Proprio da lì è voluto partire il numero uno giallorosso, intervenuto telefonicamente nel corso di Ottogol, lunedì sera: “Domenica c’erano 12.000 persone che amano il calcio. I colori non dividono il calcio. Il calcio viene diviso dalla stupidità. Quella stupidità che a Benevento e al Ciro Vigorito non alberga. Il pubblico granata non ha applaudito solo Vigorito ma tutto quello che questa città, questa società e questo Presidente hanno costruito in 14 anni. Un Presidente che ha suoi difetti, come tutti, ma che tenta di trasferire l’amore che ha per questo sport anche a chi siede sugli spalti. Noi vogliamo che ogni partita sia una bella partita, anche quando la perdi può essere comunque una festa. Volevo, quindi, ringraziare i salernitani per gli applausi e per la stima e i tifosi sanniti per aver dimostrato che la gelosia, l’invidia e l’opposizione non è mai qualcosa di strutturale. Quindi il mio ringraziamento va a tutta la città di Salerno e a tutta la città di Benevento”.

Un Vigorito che ormai è nel calcio da tanti anni e che ha imparato anche da qualche errore commesso, per troppa voglia di far bene, negli anni passati: “Il Presidente Vigorito ha imparato che nel calcio non è sufficiente investire e non è sufficiente aver vinto in altri settori della vita. La complessità del calcio mi ha affascinato sin dal primo momento, quando in molti degli addetti ai lavori vedevano in Vigorito la slot machine alla quale aggrapparsi per ricevere stipendi più alti.

Negli ultimi anni penso sempre a una frase che mi disse anni fa mio fratello Ciro <<Non ha importanza dove stiamo ma dobbiamo continuare a mantenere lo stile di una società che vuole puntare ad alti livelli>>. Quella frase conteneva il vero segreto della vita. Se sei te stesso alla fine ottieni i risultati e raggiungi i tuoi obiettivi. Avevo bisogno di fare esperienza e capire che non essere onesti nel calcio voleva dire essere furbi e intelligenti. Io non la penso così e non ho intenzione di cambiare da questo punto di vista. Per me stringere la mano voleva dire, e vuol dire, aver dato la parola. Per molti non è così. Oggi stiamo raccogliendo i frutti di quella mentalità che non abbiamo mai voluto cambiare”.

Tanta è la voglia di misurarsi nuovamente con quella serie A soltanto assaporata due anni fa: “Questa volta dovremo fare qualcosa di più rispetto a due anni fa. Mi auguro che l’esperienza maturata faccia capire che la Serie A non è solo del Benevento ma di tutta la città. La squadra è vero che appartiene ai tifosi, ma non solo quando si vince. Sempre.

Oggi ci sono gestioni diverse e partecipare a un campionato come la Serie A non è semplice. Io mi rivedo di più nei Presidenti di un tempo, un po’ come lo era Moratti. Per competere ai massimi livelli c’è bisogno della partecipazione anche del mondo imprenditoriale. Il futuro del Benevento non può gravare solo sulle mie spalle.

Lavoreremo per non disperdere quanto costruito in questi ultimi due anni. Abbiamo una rosa di calciatori validi e non faremo lo stesso errore dell’altra volta quando smantellammo una squadra sostituendo chi ci aveva portato in A con chi avevamo sconfitto nei play-off.

Ci sono tutte le componenti per fare bene: società, staff e tifosi. Ne manca solo una: lo Stadio. Sapete i problemi che ci sono. Vorrei che il progetto Benevento fosse un progetto condiviso con la città. Se poi dovrò andare avanti da solo, lo farò”.

Sezione: In primo piano / Data: Mer 05 febbraio 2020 alle 10:42
Autore: Gerardo De Ioanni
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