Sono trascorsi praticamente 3 mesi da quella magica notte dell'8 giugno. Tre mesi in cui questa piccola città del sud Italia ha scoperto, giorno dopo giorno, quanto è soave ma anche maledettamente duro e complicato mettere piede sul palcoscenico dorato del calcio italiano. Sì, proprio quella serie A che, solo due anni fa di questi tempi, allorquando il Benevento di Auteri cominciava faticosamente il suo campionato di Lega Pro, in uno stadio semivuoto e disilluso, era completamente fuori dai radar giallorossi, tanto da non poter essere considerata nemmeno un sogno lontano. Benevento, in tutte le sue componenti, ha dovuto darsi una scossa, smuoversi dal suo placido vivacchiare di plurisecolare stampo papalino, operazione tra l'altro da realizzare in fretta, cosa non certo da poco per una provincia che ha per simbolo, ironia della sorte ma non troppo, una Dormiente.
La serie A si è presentata subito come un circolo di gran prestigio, elitario e in un cui non manca una consistente spruzzata di snobismo, per cui la puzza sotto il naso davanti a questi sconosciuti arrivati dal nulla, vestiti di giallorosso e che si fanno chiamare Stregoni, si è sprecata ad ogni latitudine d'Italia e non solo. Finito nel volgere di qualche giorno l'effetto della bella favola di provincia, di quelli che ispirano simpatia e tenerezza, il paradiso del calcio ci ha fatto vedere il suo volto, diciamo così, più cattivo: beh, vi è piaciuto arrivare sin qui? Bene, ora arrangiatevi, fatevi una squadra degna se ci riuscite, muovetevi a sistemare il vostro stadio per ospitare lo spettacolo al quale avete la fortuna di partecipare, lottate più che potete, poi però, con dignità e silenziosamente magari fateci il piacere di tornare da dove siete venuti... ecco, al mio cuore di tifoso è sembrato che i potenti del calcio italiano si rivolgessero con sufficienza proprio in questi termini al piccolo Benevento. E d’altronde forse non era lecito aspettarsi di più.
Con questi chiari di luna non potevano essere semplici e banali questi tre mesi ed infatti non lo sono stati per niente. Una macedonia di pensieri e di preoccupazioni, di momenti esaltanti e deludenti, di scoperte e, perchè no, anche di follie inspiegabili. Dentro c'è praticamente di tutto: una campagna acquisti in cui nelle ultime ore è accaduto quello che non era successo nei due mesi precedenti, una preparazione estiva che ora sostanzialmente dovrà essere rivisitata, una campagna abbonamenti per certi versi indecifrabile almeno quanto le file e i bivacchi notturni per conquistare l'agognata tessera, uno stadio messo a nuovo di tasca propria dal presidente Vigorito con operai costretti a lavorare a 40 gradi e alla luce delle fotoelettriche, “radiografato” ogni tre giorni fino all'ultimo bullone (...auguriamoci che tale attenzione venga riservata anche alle scuole che a giorni verranno frequentate dai nostri figli!). Poi finalmente è arrivato il calcio giocato e l'elettricità accumulata da noi tifosi in questi mesi ha trovato sfogo nell'unico posto in grado di smaltirla, il prato verde. A Marassi prima e in casa col Bologna poi, il Benevento ha dimostrato quello che era immaginabile e si sapeva: cioè che la serie A non è arrivata per caso, che Baroni ha una idea di calcio che può essere valida anche nella massima serie. A determinate condizioni, ovviamente.
Il finale di mercato ha restituito a Baroni sicuramente una rosa numericamente congrua, equilibrata anche dal punto di vista della copertura dei diversi ruoli. Nessuno credo, al momento, possa affermare con certezza se qualitativamente in grado di garantire una concreta partecipazione alla lotta salvezza. Certo, l'addio di Ceravolo qualche perplessità me la lascia e non solo per un fatto affettivo e romantico. Virare su una scelta come lo svedese Armenteros, idea che a lume di naso credo possa essere nata gustando il famoso gelato allo strega in compagnia dell'ineffabile Mino Raiola, è e rimane una scommessa, quanto ardita lo vedremo nel prossimo futuro.
Al netto di tutto questo ora c'è una serie A da difendere con le unghie e con i denti, che in questo momento equivale a difendere il lavoro di mister Baroni, proteggerlo dai risultati che nelle prossime partite, data la caratura degli avversari, rischiano di essere ancora negativi o quanto meno balbettanti. La promozione del Benevento l'anno scorso probabilmente nacque la notte di Cesena, dopo quel mortificante 4-1, quando invece di mandare tutto all'aria, società, giocatori e tifosi si strinsero attorno al loro tecnico creando quella roccia che filò dritta verso l'impossibile poi divenuto realtà. Ora l'obiettivo è cento volte più complicato e difficile, ma se riusciamo a calarci nel campionato che ci aspetta, se riusciamo a convivere serenamente con le sconfitte e con l'insidia della retrocessione che, facciamone una ragione, sarà la nostra ingombrante e fastidiosa compagna di viaggio fino al 19 maggio, forse il finale della storia è ancora tutto da scrivere.
E allora anche se la società ha commesso qualche inevitabile errore, anche se i prezzi degli abbonamenti potevano essere più equilibrati e la campagna non chiusa inspiegabilmente il 14 agosto, anche se arrivare allo stadio, entrarci e poi uscirne assomiglia a un pellegrinaggio d’epoca a Montevergine, anche se Baroni sbaglierà qualche formazione o il VAR cancella subdolamente l’esultanza per un gol mentre sei già sulla navetta per tornare a casa, convinto di aver pareggiato...pur mettendo tutto questo sulla bilancia, dall'altra parte c'è qualcosa che va decisamente oltre: una vetrina, un percorso prima umano e poi calcistico che non ha prezzo e che va assolutamente difeso e, se proprio dovesse sfuggire, va fatto dopo aver tentato di tutto e anche di più. Solo allora, superata la strettoia infida del primo anno tra i big, si potrà pensare alla ulteriore crescita della società, magari con l'ingresso di nuove figure necessarie nella gestione amministrativa e sportiva, per consolidarsi in un contesto di altissimo profilo e per aspirare ai modelli Chievo, Sassuolo e Udinese che sono ora i nostri riferimenti, per forza di cose oggi ancora abbastanza lontani.
In conclusione due pensieri. Il primo ai calciatori che ci hanno lasciato dopo averci portati fin qui. Inutile dilungarsi con troppe parole: nel nostro cuore di tifosi porteremo per sempre i loro volti e il loro ricordo, perchè loro sono diventati parte della nostra vita e sono e saranno di diritto nella storia di questa città. Il secondo dedicato a quei calciatori che al solo sentir parlare di proposta del Benevento hanno cominciato a tirarla per le lunghe o magari sono scappati inorriditi...detto tra noi: viste le loro destinazioni a fine mercato avevano poco da scappare, ma tant’è…
Un saluti a voi tutti, specie agli amici che mi hanno incoraggiato a riprendere questo percorso insieme a TUTTOBENEVENTO, nonostante gli impegni lavorativi e familiari lo rendano piuttosto complicato e un grazie non scontato al direttore Cosimo Calicchio, che con la consueta disponibilità mi ha offerto questo spazio dove esprimermi liberamente. Ma soprattutto un enorme FORZA BENEVENTO, difendiamolA con le unghie e con i denti, come solo noi Sanniti sappiamo fare. Appuntamento a mercoledì prossimo…
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