Abbiamo raggiunto l’ex calciatore del Benevento, Pedro Mariani, un leader che in campo sapeva farsi sentire. Molto interessante la sua analisi sul campionato della Strega.
Pedro, manca una gara al termine del campionato. Una tua analisi sul cammino del Benevento?
“E’ una squadra che nell’arco dell’anno non ha mai avuto la continuità che serve per vincere i campionati. Il tecnico ha inciso poco. Per vincere servono buoni calciatori ma devi metterli in condizione di giocare bene. Vedi l’Ascoli, il Perugia, la Ternana. Ci sono squadre che ci hanno messo in grande difficoltà. L’allenatore del Benevento ha modificato poco il sistema di gioco. E’ una squadra non adatta al 4-3-3, ci sono grandi problemi a centrocampo. Ho sempre ritenuto il 3-5-2 il modulo più adatto per questa squadra. Sulla carta l’organico del Benevento è forte. Neanche il Lecce ha il potenziale offensivo che ha la Strega”.
Squadra forte sulla carta, ma c’è la personalità giusta per affrontare appuntamenti importanti?
“La squadra ha delle responsabilità perchè in campo vanno i calciatori. Non ho visto, però, quella cattiveria che serve e quell’attaccamento alla maglia. Si può perdere ma certe cose bisogna vederle sempre. Anche quando perdevamo, se ricordi, pretendevo che tutti ci radunassimo a centrocampo per andare a salutare i tifosi. Magari ci prendevamo anche i fischi, ma era giusto comportarsi in quel modo. I tifosi vanno sempre ringraziati. Oggi, poi, anche la figura del capitano non è più quella di un tempo. Il ruolo del capitano è importantissimo perchè fa le veci del presidente, in campo si fa sentire, alza la voce quando è necessario. I capitani non esistono più”.
Dopo la gara con il Monza ha parlato il presidente dicendo di volersi prendere 24 ore di tempo per riflettere. Su cosa a tuo avviso?
"Bisognava intervenire prima. A fine primo tempo se ti fossi trovato sotto di quattro o cinque gol, il Monza non avrebbe rubato nulla. Non c’era bisogno di attendere 37 partite per fare certe analisi. I tifosi non vanno allo stadio perchè ci sono diverse cose che hanno contribuito ad allontanarli. Non si può assistere ad un allenamento ed è diventato difficile avvicinare i calciatori. Questi sono solo alcuni aspetti che, a mio parere, hanno creato questo disamore. Noi calciatori andiamo via, le società cambiano, ma i tifosi e la maglia restano".
Adesso ci saranno i play off, una sorta di mini campionato dove si azzera tutto.
“Certo. Tutto può accadere ma vorrei aggiungere una cosa: salire in A vuol dire avere un progetto solido. C’è bisogno di una struttura importante, che deve passare anche attraverso la figura di un direttore generale. Appena vai in A ci vuole un investimento di 60 milioni di euro. C’è un progetto in grado di poter restare almeno 4-5 anni in massima serie? Sono cose che mi chiedo. Si è veramente pronti? In serie A non si scherza, l'allenatore deve incidere molto durante la partita. Una squadra deve sapere adottare più di un modulo”.
Indipendentemente dal responso finale dei play off, qual è la prima cosa da fare a tuo avviso?
“Deve venire fuori l’amor proprio dei calciatori. Devono giocare con il coltello tra i denti per riappropriarsi di un po’ di credibilità. Bisogna ricompattare l’ambiente. La società deve fermarsi e porsi delle domande sul perchè di questa divisione tra squadra e ambiente. E’ giusto che si interroghi su diversi aspetti e si apra maggiormente anche alla stampa. Tornare a fare innamorare i propri tifosi. Questa è la cosa principale”.
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