Quando nel 1976 Ettore Scola dirigeva Nino Manfredi in “Brutti, sporchi e cattivi”, Pippo Inzaghi aveva appena tre anni, nessun calciatore giallorosso era ancora nato.
Di quella pellicola non ci interessa la trama ma solo il titolo, al quale dobbiamo e vogliamo aggiungere l’aggettivo vincente.
Brutto, sporco, cattivo e… vincente è stato il Benevento visto contro il Cosenza. Aggettivi da intendersi esclusivamente nella loro accezione positiva in ambito calcistico, ovvero come sinonimo di una squadra che pur non essendo nella sua miglior giornata, butta il cuore oltre l’ostacolo e cerca sino all’ultimo secondo di conquistare la vittoria.
Come avvisato dallo stesso Inzaghi nella conferenza di vigilia, non si può pensare di abbinare sempre risultati e bel gioco. La serie B non te lo permette e poi bisogna fare i conti con le caratteristiche dell’avversario che non sempre è propenso ad accettare la sfida a viso aperto, come hanno provato a fare i granata lunedì scorso, ma spesso, quando ha una cifra tecnica inferiore, oppure ha necessità di classifica (il Cosenza in tal senso “vantava” entrambi i fattori), tende a dar vita una gara speculativa e accorta, che finisce per impedirti di fare il tuo gioco.
Detto ciò, dopo la bella vittoria di Salerno, ciò che contava era solo il risultato. C’era l’assoluta necessità di dar seguito alle vittorie contro Cittadella e Salernitana, di consolidare anche sul campo quel ruolo da protagonisti che da ogni latitudine calcistica viene assegnato agli uomini di Inzaghi. C’era da dimostrare che si era compiuta quella crescita – o si sta compiendo quella crescita -, soprattutto dal punto di vista emotivo, caratteriale e della personalità rispetto all’anno scorso. Difatti, più volte al Benevento di Bucchi è stato imputato, a ragion veduta dato l’epilogo della passata stagione, di non avere la giusta cattiveria, quella voglia di soffrire, di vincere che contraddistingue le grandi squadre.
Bel calcio a parte, che se viene non dispiace a nessuno, questa evoluzione dal punto di vista emotivo e caratteriale è proprio il contenuto principale del mandato che Vigorito e Foggia hanno affidato a Super Pippo. L’azione del gol di Armenteros, con Letizia e Viola che battono velocemente un angolo al 93’, sorprendendo i calciatori del Cosenza e con lo stesso attaccante di origini cubane che si avventa rapacemente sul pallone per infilarlo alle spalle del portiere ospite per il gol da tre punti, possono sembrare dettagli o eventi casuali ma, invece, sono sintomatici della crescita della squadra sannita che, proprio come vuole il proprio tecnico, riesce a vincere anche le gare che non gioca bene o che non meriterebbe di vincere, perché le vuole vincere. L'anno scorso, probabilmente, un gol simile il Benevento lo avrebbe subito, non segnato.
Una crescita che non può certamente considerarsi compiuta, altrimenti sarebbe il primo passo per un’involuzione che nessuno auspica. Una crescita che va dimostrata, ancora una volta, domani sera alla Dacia Arena di Udine quando Maggio e compagni saranno chiamati all’esame Pordenone.
Autore: Gerardo De Ioanni
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