di Andrea Bardi
Certo, adesso si fa dura. Ma non venite a dirmi che è impossibile. Non lo crederò mai, e non certo per eccesso di ottimismo (quello, in verità, non m'è mai mancato), ma perché ho sempre creduto che “impossibile” sia soltanto una parola che si trova nel vocabolario degli inetti e degli incapaci e che sia la “scusa” degli opportunisti e dei vigliacchi.
Francesco d'Assisi, non certo uno qualsiasi, diceva ai suoi seguaci: “Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. All'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”
L'aforisma sembra calzare alla perfezione al momento delicato, per non dire drammatico (sportivamente parlando, s'intende) che stanno vivendo i calciatori della squadra sannita, il suo allenatore, lo staff tecnico e, ovviamente, il direttore sportivo.
Partire dal necessario per trovare l'impossibile: semplice, ma terribilmente efficace.
Non è il tempo, questo, per instaurare processi e trovare i colpevoli di una situazione che, soltanto un paio di mesi fa, in pochi avevano presagito potesse concretizzarsi come, purtroppo, s'è concretizzata, a meno di azioni ai limiti dell'autolesionismo, considerato il rassicurante vantaggio di 11 punti sulla terz'ultima in classifica (all'epoca il Cagliari).
Non è nemmeno il tempo per arrendersi all'evidenza di ciò che non è ancora evidente, visto e considerato che della retrocessione s'aggira, sì, lo spettro, ma non la sua materializzazione e che in soli 4 punti (con 12 ancora a disposizione) sono racchiuse la bellezza di cinque squadre e con nove (e sottolineo nove) scontri diretti da disputare da qui alla fine.
Laddove, si sa, non solo i punti varranno doppio, ma che comunque dovesse andare la gara, una delle due o entrambe saranno destinate a perdere punti per strada, a vantaggio delle dirette concorrenti.
E' però, il tempo in cui chi scende in campo (e colui - o coloro, non si sa - che in campo li manda), si assumano ciascuno le proprie responsabilità. Nei confronti della società di appartenenza (presidente in primis), che su di loro ha investito per realizzare il progetto sportivo della conservazione della categoria; dei tifosi, che li hanno sempre sostenuti, seppur “a distanza” in un anno maledetto, senza far mai mancare loro l'affetto, la fiducia e l'entusiasmo; ma, direi, innanzitutto e soprattutto nei confronti di loro stessi, che sono professionisti e come tali hanno l'obbligo ed il dovere di comportarsi. Fino in fondo.
Perché ciò sia possibile, esiste una sola ricetta, racchiusa in tre parole: lavoro, impegno, convinzione.
Per mia personalissima interpretazione dell'aforisma, sarà dunque: necessario credere in se stessi e nelle proprie capacità ed entrare in campo con determinazione e “fame” agonistica; possibile affrontare l'avversario con impegno ed attenzione alle varie fasi di gioco, partendo dalla consapevolezza di non essergli inferiore “ per designazione naturale”.
L'impossibile verrà da sé, per conseguenza.
Si parte domenica, con la “madre di tutte le partite“, la prima (e forse l'ultima) di quattro finali.
Si tratta, di fatto, di una vera e propria finale play-off promozione (o se preferite play-out retrocessione, ma la sostanza non cambia), nella quale chiunque delle due squadre dovesse uscire sconfitta, sarebbe molto probabilmente destinata ad essere la terza a lasciare la categoria dopo Crotone (già matematicamente retrocessa) e Parma (che non lo è ancora per matematica, ma è ormai soltanto una questione di ore, anzi di un'ora e mezza).
Certo, non si sarebbe dovuti arrivare a questo punto, ma tant'è, purtroppo è successo, e dovremo farcene una ragione.
Del resto è anche abbastanza naturale che una salvezza, specialmente in serie A (per chiunque e non soltanto per il Benevento) debba essere conquistata al novantesimo minuto della 38.ma giornata ...e a volte anche oltre il novantesimo.
Vorrà dire che sarà ancora più bello ed emozionante vincere.
Perché le “partite secche” sono quelle che più di altre fanno la storia, che restano indelebilmente impresse nel cuore e nella mente dei tifosi.
Perché vincere è l'unica cosa che conta e, sotto questo aspetto, il sorpasso in classifica da parte del Cagliari sarà servito almeno a qualcosa: il Benevento non potrà, infatti “giocare per due risultati su tre” , ma dovrà farlo soltanto per il “segno uno”.
Certo, mi rendo conto che a volte esagero nel vedere sempre il “bicchiere mezzo pieno” ; ma ne faccio una filosofia di vita ed è, per me, una sorta di “male inguaribile”. Non posso farci nulla. Scusatemi.
Se, poi, malauguratamente non dovesse "uscire il segno uno" o, peggio ancora, addirittura il "due", vorrà dire che la Strega avrà meritato, sul campo, la retrocessione in Serie B così come, sul campo, aveva strameritato la promozione in Serie A.
Ma per la parola “fine” c'è ancora tempo. Nulla è impossibile per chi lo vuole.
Crediamoci.
Insieme.
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